Dichiarazioni
Sacchi: «Calhanoglu grande rimpianto per il Milan»
La riflessione dell’ex tecnico rossonero
Arrigo Sacchi, in un’intervista rilasciata alla Gazzetta dello Sport, ha parlato di Calhanoglu. Ecco le parole dell’ex tecnico rossonero:
Come giudica il rendimento di Calhanoglu? «Sta facendo molto bene e, soprattutto, sta facendo tantissimo. Lo vedi in tutte le zone del campo: corre e fa correre i compagni».
Il Milan si starà pentendo di averlo lasciato andare via, considerando che un giocatore simile non ce l’ha. Quello dei rossoneri un errore? «Parlando con il senno di poi, viene da dire di sì. Ma sono situazioni che nel calcio si verificano spesso. Io, ad esempio, nonostante me lo avessero proposto quando facevo il dirigente, non presi Andrea Pirlo. E dopo si è visto quello che è diventato. Al Milan Calhanoglu aveva già dimostrato di essere bravo: allora, però, faceva il trequartista, o al massimo la mezzala sinistra. Adesso è una cosa diversa, adesso è un uomo-squadra».
Che tipo di giocatore è? «Lo definisco con un solo aggettivo: completo. Può ricoprire tutti i ruoli del centrocampo, si muove con grande intelligenza e fa muovere i compagni dettando i tempi di quasi tutte le azioni. Sa quando è il caso di giocare sul breve e quando, invece, bisogna lanciare lungo. Ripeto: siamo davanti a un calciatore completo e moderno nell’interpretazione del ruolo».
A proposito del ruolo: anche lui, come Pirlo, da fantasista che era si è inventato regista. Ed è stata probabilmente la sua fortuna. «Cambiando funzione ha dimostrato di essere un ragazzo di alto livello intellettivo. Ha capito quali erano le sue qualità e quali le esigenze della squadra. Si è messo a disposizione e ne è nato un nuovo Calhanoglu. Va detto che nel centrocampo dell’Inter è molto aiutato da Barella e da Mkhitaryan, e un contributo notevole lo danno anche gli esterni, soprattutto Dimarco a sinistra. Ma Calhanoglu, proprio come fece Pirlo, sta dimostrando una personalità notevole. È il fulcro dell’Inter, quello attorno al quale ruota tutto».
Le sue qualità migliori? «Sicuramente la visione di gioco. Sa, prima degli altri, dove finirà il pallone. Conosce il ritmo della partita. È in grado di decidere in pochissimo tempo su quale lato si deve attaccare l’avversario, se conviene temporeggiare o accelerare. E poi ha precisione di tocco, sia nel lungo sia nel breve, e un gran bel tiro. Su calcio di rigore è micidiale, non sbaglia quasi mai. E anche sulle punizioni dal limite dell’area è preciso e potente».
In questo momento è tra i top d’Europa? «Secondo me, come regista, è tra i primi tre. Ha fatto miglioramenti incredibili e ha dimostrato che il successo si ottiene soltanto quando si crede in se stessi e si lavora per fare un salto di qualità. Lui, adesso, è uno dei migliori giocatori d’Europa e si vede anche nelle partite di Champions League. Sa impostare e sa difendere. E, soprattutto, ha le personalità per guidare la squadra».
È un ruolo difficile, quello del regista? «Probabilmente il più difficile. È il giocatore che ha in mano lo spartito consegnato dall’allenatore e deve farlo “suonare” impostando la manovra. È un lavoro di responsabilità, si è impegnati nelle due fasi, sia offensiva sia difensiva, e bisogna avere una visione globale del campo e della squadra. Non tutti possono fare i registi, per intenderci».
Ci faccia qualche esempio. «Pirlo è stato un grande interprete di questo ruolo, così come Xavi nel Barcellona di Guardiola. Anche Modric, nonostante non sia più un ragazzino, è un grande. Ma il croato è più mezzala che regista. Mi piace moltissimo Rodri del Manchester City. Però, in giro, al momento non ce ne sono tanti. Nel Napoli dello scorso campionato mi aveva incantato Lobotka, che però mi pare abbia avuto un’involuzione».
Meglio la versione di Calhanoglu da trequartista o da regista? «L’ho detto: anche al Milan, da trequartista, Calha aveva fatto bene. Però credo che la sua posizione ideale sia quella di regista davanti alla difesa. Mi sembra che in quel ruolo possa esprimere al massimo le sue qualità. E i compagni gli riconoscono la leadership, cosa tutt’altro che semplice da ottenere. Significa che in lui vedono un giocatore importante al quale appoggiarsi sia nei momenti di difficoltà sia quando la squadra deve andare all’assalto».
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