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Milan, Elliott condiziona le scelte: troppe teste e due anime

Il fondo statunitense s’intromette troppo nelle decisioni da prendere sul futuro del Milan: è questo il vero problema?

Uno dei punti di forza del Milan berlusconiano fu la compattezza della cabina di comando (Berlusconi-Galliani-Braida). Un blocco monolitico, magari con idee differenti, ma comunque unito a navigare sempre nella stessa direzione. La situazione iniziò a cambiare con l’arrivo di Barbara Berlusconi nel 2013, con la conseguente storia della banter era (l’era dello scherzo o più concretamente, periodo non produttivo). Ciò portò a sei allenatori in quattro stagioni, piazzamenti non da Milan (8°, 10°, 7° e 6° posto), nessuna qualificazione in Champions League e un solo trofeo, la Supercoppa italiana nel dicembre 2016. Poi nell’aprile 2017 il passaggio a Yonghong Li e l’avvio di un nuovo incubo da cui il Milan uscì nel luglio 2018 grazie al fondo Elliott.

Elliott
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Grazie all’arrivo del fondo americano, i conti sono progressivamente migliorati, la rosa gradualmente sistemata con il fatidico ritorno in Champions dopo 7 anni. Successivamente, lo scudetto vinto con mister Stefano Pioli, con Gazidis e Maldini in società. Tre profili con pensieri diversi che, però, misero da parte vedute contrastanti ( vedi i caos fra Elliott-Gazidis e Leonardo prima, Boban poi). Ovvero quello che, a molti – tifosi, addetti ai lavori, protagonisti interni – non è sembrato essere il filo comune dell’ultima stagione. Questo Milan, da mesi, ma forse già da anni, dalla cacciata di Maldini (e Massara) nel giugno 2023, sembra composto da troppe anime, riferisce ‘Tuttosport‘. Sicuramente due, quella di RedBird Capital, a capo del club dalla fi ne dell’estate 2022, e quella radicata del fondo Elliott, che non è più proprietario del Milan, ma ancora presente, non fosse altro perché Gerry Cardinale dovrà restituire al fondo della famiglia Singer 489 milioni (più interessi) entro luglio 2028. Al di là dei ‘chiacchiericci’ su chi sia il vero proprietario del Milan, è innegabile che Elliott abbia ancora voce in capitolo, sia per ragioni economiche sia per la presenza del CdA di due suoi membri diretti (Gordon Singer e Dominic Mitchell) e altri di sua emanazione, come il presidente Scaroni (già numero uno nella precedente gestione) e soprattutto l’ad Furlani.

Milan, troppe teste pensanti: l’attuale caso in via Aldo Rossi

Questo balletto va avanti da tempo, ma l’apice si è toccato nell’ultimo anno, soprattutto con la questione ‘nuovo allenatore’. C’era chi voleva un determinato tipo di allenatore e chi un altro, si arrivò a scegliere Lopetegui salvo poi, dopo sollevazione popolare, virare su Fonseca (che non convince comunque tutti). Eloquente quanto accaduto – e sta accadendo – da quattro mesi per la questione direttore sportivo. A febbraio Cardinale e Ibrahimovic a Londra hanno incontrato Paratici, Tare e Berta; qualche giorno dopo Furlani – su spinta di Elliott – è volato a New York per rimarcare a Cardinale (e RedBird) il suo ruolo di ad e ha ricominciato da zero il casting per un ruolo che, al 20 maggio, è ancora vacante. Per non parlare del capitolo Milan Futuro, dato in mano a un dirigente statunitense (scelto da Ibra), a corto di esperienza di Serie C italiana. La soluzione appare scontata, ma decisiva: serve una sola anima e ruoli chiari, definiti.

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