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Focus, la (non) strategia di Furlani: Reijnders venduto dopo le promesse

Quando un dirigente dice una cosa e ne fa un’altra, la fiducia si rompe. È esattamente quello che è successo al Milan con la vicenda di Tijjani Reijnders. L’amministratore delegato Giorgio Furlani, neanche due settimane fa, aveva detto chiaro e tondo: “Non abbiamo bisogno di vendere”. E invece? Reijnders è stato ceduto al Manchester City, per una somma importante sì, ma che lascia l’amaro in bocca.

Parole vuote, fatti contrari

Le dichiarazioni di Furlani non erano frasi di circostanza: erano un messaggio preciso alla tifoseria, una promessa di continuità, stabilità e ambizione. Promessa infranta nel giro di pochi giorni. Se non era necessario vendere, perché allora liberarsi del miglior centrocampista della stagione, premiato in Serie A e rinnovato fino al 2030? Il sospetto, più che legittimo, è che le parole siano state usate solo per tenere calmi i tifosi, mentre la decisione era già sul tavolo.

Coerenza cercasi

La cessione di Reijnders è un segnale preoccupante: o Furlani ha mentito oppure ha perso il controllo della situazione. In entrambi i casi, non è un bel segnale per un club che ambisce a tornare grande. I tifosi non sono ingenui: possono accettare una cessione, ma non l’ipocrisia. E quando le parole vengono smentite così clamorosamente dai fatti, il danno non è solo tecnico, ma anche reputazionale.

Il prezzo della credibilità

Vendere Reijnders non è solo una mossa di mercato, è una dichiarazione implicita: il Milan è tornato a essere una società che cede i migliori per fare cassa. Altro che “non abbiamo necessità di vendere”. Se questo è il piano, almeno si abbia il coraggio di ammetterlo. L’idea che basti un comunicato ben scritto o un’intervista rassicurante per calmare l’ambiente è un insulto all’intelligenza dei tifosi. Il Milan può anche decidere di vendere, rifondare, cambiare. Ma non può farlo prendendo in giro chi lo segue ogni giorno. Il problema non è la cessione di Reijnders. Il problema è dire che non lo farai… e poi farlo. È una questione di rispetto. E oggi, quel rispetto, sembra essersi perso.

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