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Dichiarazioni

Taarabt: «Leao deve responsabilizzarsi. Il mancato riscatto al Milan? Andai in depressione»

Intervenuto ai microfoni di “gazzetta.it“, Adel Taarabt, ex attaccante rossonero, ha parlato della sua esperienza al Milan. Di seguito, le sue affermazioni:

«I tifosi mi hanno amato e me lo dimostrano tuttora. Mi scrivono sui social, salutano quando mi incontrano nei ristoranti italiani qui a Dubai. Sono stato solo sei mesi eh. E infatti ogni volta mi chiedono come mai Galliani non mi abbia riscattato. Non vorrei sembrare arrogante, ma in quei sei mesi sono stato di gran lunga il miglior giocatore della squadra. E c’erano Balotelli, Kakà, Robinho. I tifosi lo sapevano, Seedorf mi voleva bene, io stavo da Dio. Dopo soli due mesi si parlò del riscatto, ma in estate cambiò tutto. Inzaghi disse ai piani alti di non voler puntare su di me perché preferiva Cerci. Lo rispetto, ma sentirmi dire una cosa del genere no. Ora tutti vedono che carriera sta avendo come allenatore. Suo fratello ha fatto bene, lui invece…»

Sulla depressione: «Ci ho messo 18 mesi a recuperare. Volevo mollare tutto. Immagina di indossare la maglia del Milan, giocare a San Siro, far sognare i tifosi e poi via, tutto finito. Quando sono tornato al Qpr, un club che amo e rispetto, ero svuotato. Nella mia testa – spiega Taarabt – era impossibile giocare lì»

Chi ti piace di più del Milan di oggi? «Bennacer, Leao e Theo sono dei top, ma Rafa deve responsabilizzarsi. Ogni anno deve fare 15 gol. Uno come lui non può giocare una partita da top e cinque male. Ismael, invece, è sottovalutato. Se vedi la stagione c’è un prima e un dopo di lui»

Su Pioli: «Per le altre squadre è troppo facile capire come gioca il Milan. Si legge troppo presto. E poi la rosa è corta: l’Inter è un altro mondo»

Sulla lite con Kakà: «Ricordo una lite mai vista. So che sembra strano sentirselo dire perché Kakà è il ‘ragazzo perfetto’, ma è successo. Insomma, andò così: esercitazioni, attacco contro difesa, invece di servire Ricky passai il pallone a Balotelli, così lui iniziò a urlarmi addosso. ‘Diavolo, è Kakà!’, pensai. Rimasi stupito, ma non si fermava, quindi a un certo punto gli ho messo le mani al collo. Io capisco che sei Kakà, ma se urli io perdo la testa. Il giorno dopo, però, lui si scusò e mi portò fuori a pranzo. All’epoca lo spogliatoio aveva dei clan. Alcuni non volevano aiutare Seedorf, altri sì. Io ero nel mezzo»

Taarabt
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