Dichiarazioni
Ibrahimovic: «I miei giocatori devono dare sempre il 200%. Al Milan i giovani…»
Intervistato ai microfoni del “The Athletic“, Zlatan Ibrahimovic ha parlato di Milan, ambizioni future e non solo direttamente dal New Jersey hotel, dove la squadra rossonera ha alloggiato in questi 15 giorni per la tournée negli States. Di seguito, le sue affermazioni: «Ho voce in capitolo in molte categorie per portare risultati e aumentare il valore, il tutto con l’ambizione di vincere».
«Io baby-sitter? I miei giocatori sono adulti e devono assumersi le responsabilità. Devono fare il 200% anche quando non ci sono»
Ti piacerebbe allenare un giorno? «No. Vedi i miei capelli grigi? Figuriamoci dopo una settimana da allenatore. La vita di un allenatore dura fino a 12 ore al giorno. Non hai assolutamente tempo libero. Il mio ruolo è connettere tutto; essere un leader dall’alto e assicurarsi che la struttura e l’organizzazione funzionino. Per tenere tutti sull’attenti»
Sul suo ritorno al Milan: «Quando sono venuto la seconda volta, si trattava più di dare che di prendere. Volevo aprire la strada a una nuova generazione. Tu sei l’esempio, dicendo: “Ascolta, è così che funziona”. Quando sei a Milano è l’élite dell’élite: pressioni, pretese, obblighi. Bisogna assumersi la responsabilità, diventare uomo, perché un giocatore non conta solo il campo, ma anche la persona fuori. Ero il punto di riferimento. Non avevo un ego al riguardo. Ero come una specie di…angelo custode. Quindi tutta la pressione ricadrebbe su di me, non su di loro, ma allo stesso tempo facevo pressione su di loro»
Sull’impatto che ha avuto sui giovani di allora del Milan: «Non avevo bisogno di segnare un gol in più o uno in meno. Non cambierebbe la mia carriera. Si trattava più di preparare il futuro per gli altri perché credo che questa giovane generazione abbia bisogno di un leader da seguire. Se non hai esempi, soprattutto quando giochi in grandi club, chi ti indicherà la strada? L’ho fatto in un modo in cui non si trattava di me, ma della squadra. Tutti questi ragazzi giovani che non avevano mai giocato la Champions League e non avevano mai vinto. Quando invecchi, devi trovare i punti trigger. Non si tratta di contratti dopo 20 anni. Il mio punto di partenza è stato mostrare la strada per la squadra giovane»
Sul figlio Maximilian: «Non è facile per lui perché, ovviamente, suo padre è quello che è. Quindi porta un cognome pesante. Ovunque vada, sarà sempre paragonato. Ma al Milan, nel mio ruolo, non lo vedo diverso dagli altri. Non lo giudico come se fosse mio figlio. Lo giudico come giocatore, come giudico tutti gli altri. Deve imparare, deve lavorare e deve guadagnare. Poi quello che succede, succede. È forte mentalmente. La gente pensa che il calcio sia facile e che tutti arrivino. Ma – conclude Ibrahimovic – non è così»